Il nuovo decreto del governo prevede per l’organizzazione di un “raduno musicale non autorizzato” un minimo di pena sei volte superiore a quello per un sequestro di persona.
Anche tu pensi che ballare sia uno dei crimini più gravi che si possano commettere?
Secondo te per ritrovarsi insieme bisogna chiedere il permesso alle forze di polizia?
Anche tu hai paura di chi crea situazioni libere dove ci si può autogestire al di fuori delle logiche commerciali?
Vivere la musica in questi spazi è davvero un grave pericolo per l’incolumità pubblica? Tanto da meritare dai 3 ai 6 anni di carcere?
Fin dalla sua prima stesura – e nonostante le limitazioni introdotte successivamente – questo decreto ha incarnato lo scopo evidente di colpire non solo le feste, ma anche i concerti e le iniziative nei centri sociali, negli squat, in uno spazio urbano abbandonato o in un bosco, attaccando tutti gli eventi “musicali o aventi altro scopo di intrattenimento” con la scusa della “sicurezza e dell’igiene”.
Stanno plasmando un mondo in cui la nostra unica speranza è quella di sopravvivere in “sicurezza”… tra una pandemia e una guerra mondiale. Un concetto di sicurezza o di igiene evidentemente strumentale, che si traduce in un mondo in cui scuole pericolanti o farcite di amianto, fabbriche d’armi, allevamenti intensivi e depredazione del pianeta sono considerati “sicuri e igienici”… mentre ballare in una fabbrica, in un bosco, occupare una casa per un concerto o una proiezione, diventano fenomeni punibili come “minacce alla sicurezza”.
Noi vogliamo vivere, non sopravvivere.
Le feste libere sono un rituale atavico di vita, di ribellione, di autogestione e di autoproduzione: ci riappropriamo temporaneamente di luoghi abbandonati o dimenticati per costruire un nostro modo di stare insieme, un mondo diverso, realizzato con i nostri mezzi, le nostre competenze, messe in campo tanto per godere della musica che produciamo quanto per prenderci cura di chi ne abbia bisogno.
Un mondo di complicità senza competizione.
Un mondo in contrasto con l’asfissiante e pervasivo controllo da parte dello Stato.
Un mondo dove al centro non ci sia il profitto, ma le relazioni umane e la socialità che spontaneamente ogni giorno si organizza dal basso nei quartieri, sui posti di lavoro, negli spazi occupati, nelle feste.
Difendiamo insieme le nostre forme di resistenza da un mondo che ci vorrebbe individui silenziosi e omologati.
Crediamo che il nostro corpo ci appartenga in ogni momento e che ogni persona sia libera di inseguire il proprio desiderio e il proprio piacere.
Il decreto anti-rave vuole impedircelo, riportando ogni forma di espressione libera sotto lo sguardo severo e sorvegliante di uno Stato che tutto ascolta e tutto controlla.
Senza più spazi liberi e autogestiti di divertimento, il nostro piacere rischia di venire inscatolato in un centro commerciale.
La posta in gioco è una progressiva erosione della libertà: con un crescente arsenale di norme e leggi si cerca di punire non solo le azioni compiute, ma di cancellare identità e comunità scomode.
Il decreto “anti-rave” si inserisce in un’ondata repressiva molto più estesa tra costante compressione delle libertà e sorveglianza onnipresente.
Un’ondata letale e troppo silenziosa, che uccide soprattutto le persone marginalizzate e rese invisibili nelle carceri o alle frontiere.
Il 17 dicembre scendiamo nelle strade della nostra città con gioia e determinazione, contro l’ennesimo tentativo di criminalizzare il dissenso e soffocare le esperienze non conformi che attraversano la società.
Balliamo insieme, insieme lottiamo.
/ / Non comunicare con i giornalisti
/ / Non parlare con gli sbirri
/ / Non si accettano bandiere o simboli di partito
TORINO – PIAZZA STATUTO – ORE 13
pre-concentramenti ore 11.30: Palazzo Nuovo – Radio Blackout